I Personaggi

RAFFAELE PELLICCIOTTA


Raffaele Pellicciotta was born in Perano (Chieti) on 3rd January 1905 and he died in Pescara in 1994. He was the descendant of a whole family of genuine people coming from Abruzzo land. He spent his childhood and his youthfulness both in Perano and in Lanciano villages where he attended the Secondary School focusing on humanities.

He came from a craftsman and rural village where people used to speak Frentano dialect, the language of his father. It was just his father who suggested him to start studying the etymology of the words of the whole area and it was in this way that he started making the "Vocabulary of Frentano Language" published by Solfanelli (Chieti). 

This work is based on philological basis, apart from very clever intuitions. When he attended the Secondary School he soon distinguished himself for his great humanist talents. He used to tell to have deeply impressed his Latin and Greek teachers when he managed to translate a greek version first in Italian and then in Latin language. His smart memory allowed him to read a book in a very short time and to remind the most important passages forever. 

One day, one of his friend landed him "The Miserables" written by Hugo. He finished it in one night. He gave it back to his friend the day after, who was very astonished to know he really read it.

He then attended the University of Naples and he got the Degree in Medicine and Surgery with 110 cum laude. He left us a nice and funny tale about a young doctor that makes his first working experiences in a small village. This tale is part of a bigger literary work of art called "Frentano's Tales" dedicated to his sweet and unforgettable wife, Lidia, where he confesses her to have taken direct inspiration in writing them on the everyday life (of course the young doctor in the novel was him) specifying that she would find them "somethimes sad, sometimes happy and most of the time daring". This is his positive and desecrating thinking, sometimes even rather sweet.

All his life was a struggle to get all his dreams concrete, to assert himself, to emerge. He, that was the son of a wild and poor land, wanted to do everything in his power to increase the social and economical position of his family and parents: Ermete, his father, was a carpenter while Maria, his mother, was the daughter of a family of farmers. She was intellgent and ambitious, ready to make any sacrifice so that her only son could finish his University studies.

He proved to be a real self-made man. Without any help, he got the degree in Tropical and Subtropical Deseases, studying alone in Africa during the military campaign from 1935 to 1938.

He firstly asked and then obtained a small personal Laboratory from the Goverment. It was thanks to this experience that he managed to publish more than 80 scientific works, that nowadays can be consulted in the Library of Perano City Hall dedicated to him.

He became the Chief of the main Sanitary Offices in the Italian Railways and he directed Foggia, Torino and Bologna Inspectorate Officies.

During his stay in Bologna, he wrote a series of sonnets and hendecasyllable in alternated ryhme on lyrical and historical subjects. He got prizes and awards even in the musical field after having composed many original songs on Abruzzo language.

He was extremely skilled in History and one of his favourite character was Hannibal.

He was a great speaker and he was able to discuss about any subject. After having written "The Vocabulary of Fentano Language", he made many researches in Toponymy field referred to his native land and to the nearby territories. His studies ended in a small volume called "Note di Toponomastica correlata a toponimi omofonici".

"Perano, in Val di Sangro, toponomastica e note storiche" is his last book.

He died one year after when he was 80 after an ictus. His work of art, considered of great historical and literary interest, was published for the first time by Noubs Publishing House (Chieti).

 
BIOGRAFIA DI LUIGI BALDACCI

Nasce a Pescara il 27 Gennaio 1937. Negli anni cinquanta inizia a dipingere non sostenuto da una vera e propria formazione professionale o comunque scolastica.
E’ un pittore autodidatta e non conosce gli insegnamenti del disegno, le tecniche della prospettiva o quella delle ombre. I suoi studi fatti su carta, su legno, su creta, dove era possibile, pur di risparmiare, esprimono un linguaggio pittorico molto semplice e sulle tele che dipinge riporta le immagini della vita quotidiana o delle persone più care.
Negli anni sessanta viene attratto da un mondo di mistero e scopre una nuova dimensione dello spirito umano, quella cioè dell’inconscio. Riproduce così, in una sorta di fusione tra realtà e sogno, i racconti, i miti e le leggende d’Abruzzo, dove le immagini, le emozioni e le percezioni sono definite in modo surreale e sono legate al pensiero Freudiano.
Accostandosi in modo inconsapevole alla dottrina aristotelica, studia le realtà fisiche che gli stanno attorno e si occupa di quelle più distanti da lui, spingendosi nel campo della metafisica e percependo le realtà trascendenti. Nella “Passeggiata”, per esempio, disegna personaggi simili a manichini abbandonati in una scena immobile senza tempo. Giovane, deciso ed esuberante, attratto dall’avventura, in occasione del centenario della nascita di D’Annunzio, compie un avventuroso raid motonautico, in compagnia di un giornalista, Romano Di Bernardo, seguendo il percorso Pescara – Gardone Riviera – Pescara per consegnare un simbolico pino della pineta Dannunziana da trapiantare nel parco del Vittoriale.
L’esperienza del viaggio lo ispira nella realizzazione di un’opera, diventata proprietà della Fondazione “Casa D’Annunzio”.
Dai viaggi trae le esperienze che si ripercuotono nella sua vita di artista, come a Chatelineau in Belgio, nel 1965, dove si reca per conoscere il mondo delle miniere e ritrae il dramma degli uomini suoi connazionali su carta e su tele. Non cessa di viaggiare e quando va in Spagna, nel 1969, per uno scambio culturale crea un movimento artistico di respiro internazionale insieme ad un gruppo di pittori, filosofi e giornalisti con l’intento di riaffermare tutti i valori dell’arte comuni ai popoli del mediterraneo. Nato sotto il segno dell’Acquario, ne esprime appieno le caratteristiche e non fa meraviglia il fatto che si lascia fortemente attrarre dai grandi interrogativi: il mistero dell’universo, della vita e, soprattutto, quello della coscienza e della mente. Scopre una nuova dimensione dello spirito umano: la percezione extrasensoriale che lo porta a percepire il mondo in maniera inusuale, e ad afferrarne gli aspetti più nascosti.
Negli anni settanta approfondisce tutte le presunte manifestazioni fisiche e psichiche anomale che non rientrano nei canoni consueti dell'esperienza comune e che spesso sembrano scavalcare le leggi fisiche naturali a tutti note: quei fenomeni, ossia, che rientrano nella “parapsicologia”. In questo periodo realizza molte opere, frutto del potere della sua mente e, mentre cerca di assimilare nuove conoscenze, dà vita ad esperimenti artistici che hanno risonanza nazionale (Firenze, Massa Carrara, Brescia). Rifiuta in maniera sempre più netta la logica umana e le restrizioni a favore di una totale libertà e realizza dipinti su tele rotonde, senza angoli, senza barriere, come l’universo intero. Le espone in una serie di mostre personali nelle varie città d’Italia, iniziando da Campobasso, l’11 Settembre 1971. I soggetti di questi quadri sono accompagnati da versi suggestivi e coinvolgenti che scrive con slancio, spinto da una spontanea ispirazione. A Torino durante una personale, presso la Galleria d’Arte Hilton, la giornalista Lella Durando nel 1971, così scrive “… forse per coerenza, Luigi Baldacci dipinge le sue opere su tele tonde che, non costringendo, lasciano spaziare oltre la cornice l’ottimistica e lodevole certezza che il suo invito sia raccolto per un futuro consapevole che lui già raffigura”. Intravede le capacità di preveggenza dell’artista anche se non sa darne una spiegazione immediata.
Oggi, dopo il tragico 11 Settembre americano, il significato di quei dipinti è chiaro perché da quelle tele rotonde emergono tutti gli avvenimenti reali che hanno sconvolto il mondo: la caduta delle torri, le bare delle innumerevoli vittime, la guerra in Oriente.
Questa capacità di sintonizzarsi in una dimensione senza tempo, dove passato, presente e futuro sembrano coesistere si chiama “precognizione” ma purtroppo, non consente di impedire che l’evento accada.
Nella seduta dell’otto settembre del 1971 riceve l’unanime riconoscimento di tutto il Consiglio Comunale di Pescara per aver eseguito la grandiosa opera pittorica della ”Storia di Pescara” collocata sulle pareti della Sala Consigliare.
Abbandona quindi completamente i colori scuri dei racconti magici della tradizione popolare abruzzese e rappresenta il mondo simbolico del comportamento umano in una esplosione di colori.
Perviene gradualmente ad un’arte esoterica intimamente legata alle riflessioni spirituali che lo accostano sempre più a Dio che egli stesso definisce “arte parapsicologica”.
Nel 1978 indossa un saio azzurro, simbolo del misticismo, trasporta un manichino, simbolo dell’arte, parte da Pescara, raggiunge Assisi, dove viene benedetto nella cappella del Santo da un frate ecumenico e dà così inizio ad un itinerario artistico-religioso verso i maggiori paesi monoteistici del mondo.
Nel 1991 Renato Minori scrive: ...”Osservo le ultime composizioni di Baldacci. Appaiono come veri e propri puzzles dell’anima. Lettere e figure mimano un fantasioso incastro. Tutto si celebra nella festa del colore, chiamato a riempire gli spazi, a dare il senso della loro consistenza nel territorio delineato dell’acrilico...”.
Nel 2002, realizza una scultura di ceramica colorata intitolata “Omaggio a Flaiano” che viene collocata nello spazio antistante l’auditorium Flaiano di Pescara e, in occasione della sua mostra antologica, realizzata nell’ambito del programma dell’Ente Manifestazioni Pescaresi, riceve la visita di Vittorio Sgarbi che gli dedica un commento scritto.
Quando nel 2006, espone le venti opere che illustrano i venti paesi della Val di Sangro descritti nel libro del Dott. Raffaele Pellicciotta “Perano in Val di Sangro – Toponomastica e note storiche”, riunisce in un convegno tutte le autorità civiche di questi paesi d’Abruzzo coinvolgendoli in un linguaggio puramente artistico. Le venti opere oggi sono di proprietà del Museo Civico di Ateleta in una sezione a lui dedicata.
Baldacci ha compiuto settantaquattro anni e la sua mano non si è ancora fermata. Continua a tessere con tratti di colore le sue ispirazioni. Il 14 dicembre 2007 presenta una mostra inedita di ottantuno disegni realizzati dal 1955 e di venti dipinti su tela in acrilico, sua ultima produzione.
Presenta ai XVI Giochi del Mediterraneo “Pescara 2009” la mostra di pittura: “L’Abruzzo tra storia e
leggenda”. Trenta quadri, ognuno di cm 170x140, su cui racconta la storia dell’Abruzzo: le sue antiche
tracce, anche artistiche, le vicende storiche che l’hanno interessata e i popoli che l’hanno abitata e non trascura di mettere in risalto l’anima e le tradizioni del passato che questa regione, tra le poche d’Italia, è riuscita a mantenere pressoché intatte nel tempo.
Le trenta opere oggi sono di proprietà del Museo Civico di Palazzo Priori di Fossacesia - sezione d’arte moderna a lui dedicata.
A Pescasseroli in occasione del Premio Nazionale “B. Croce” viene presentata tutta la collezione  della trenta opere: “L’Abruzzo tra storia e leggenda” accolta con grande interesse dal pubblico e dagli organi ufficiali.


 Maria Pellicciotta


LUIGI BALDACCI
L’URGENZA DELLA PITTURA
Luigi Baldacci è un artista, pittore appassionato, e indubbiamente ‘personaggio’ che interpreta fino in fondo il suo ruolo di artista e di pittore. Voglio dire che il suo fare proviene tutto, o quasi, dall’ascolto delle voci di dentro, dalle emozioni che egli lascia ‘montare’ e lievitare fino a richiedere con urgenza un medium espressivo adeguato; avrebbe   potuto essere  la parola,  e invece è stato il disegno, la pittura e, recentemente, anche la tridimensionalità della scultura, come metafora diretta dell’uomo e della condizione esistenziale. In questo senso le sue figurazioni sono autenticamente sue ‘creature’, proprie del suo immaginario fertile e reattivo, ‘sensitivo’  e fervente di desiderio di raccontare, di raccontarsi, di dipingere, di scrivere, di manipolare, in una visionarietà che inventa simbologie come ‘chiavi’ di comprensione: non sempre chiare nei significati ultimi, segrete e segretate, un po’ come le Sibille, gli Oracoli, gli indovini che sul tema proposto rispondevano con una sorta di ‘gramelot’ alla Dario Fo, in cui si coglieva qualche parola chiave che pareva dare un significato al discorso misterico e ciascuno  seguiva un proprio filo. Baldacci fin dalle prime esperienze,  prevalentemente di  disegno a matita agli inizi degli anni Cinquanta, quasi sostitutive, a livello psicologico, forse di una  di una più faticata verbalizzazione, sentiva e sente il racconto attraversargli la mente, il corpo e arrivare alle mani, diventare fremito delle dita, ed ogni contatto con la materia (il pennello, il colore, la penna e l’inchiostro, la creta o il gesso) esigere una propria ‘calligrafia’, una ricerca di  forma bella, semplice, diretta, senza vacui o vaghi intellettualismi o complicati concettualismi seducenti, nel senso letterale che portano da altra parte, ingannano la mente. Le sue figure sono creature che abitano, a volte invadono, i suoi ‘silenzi’,  i suoi paesaggi interiori: non quelli della natura naturans, le vedute, ma quelli che immagina a occhi chiusi, gli spazi dell’anima, si dice di solito, dell’anima fonda, individuale e collettiva, quelli della psiche, infinitamente più vasti e più ricchi di quelli esterni. Occorre saper ascoltare e saper guardare: cioè non semplicemente ‘vedere’ (che è di tutti quelli che hanno occhi), ma innescare la partecipazione della mente e del cuore, attivare i terminali nervosi ed emotivi, mettendo a fuoco esperienze, suggestioni, premonizioni, ricordi, elaborazioni sensitive, percettive ed intellettive. Non si tratta di ‘ragionamenti’ ma del lasciar aggallare e diventare visione, sguardo complice ed intelligente tutto ciò che costituisce i sedimenti consci, preconsci ed inconsci della nostra psiche, della nostra anima individuale tentando il viaggio che da dentro il pozzo psichico conduce all’infinito dell’anima collettiva, dell’esperienza totale. Qualsiasi opera, qualsiasi capolavoro, nulla vale se non c’è ‘uno sguardo’ che la comprende e la valorizza in quanto coltivazione della sensibilità, dell’accoglienza, dell’intelligenza, del sentimento, della conoscenza. La storia dell’arte è in verità la storia dello sguardo con cui si vedono le opere d’arte, Senza di esso ogni discorso non è altro che letteratura rimasticata, chiacchiere. Le ‘creature’ di Luigi Baldacci vogliono essere elementari e semplici, originali frutti del suo intenso lavorìo intimo, che non ha avuto maestri, non ha avuto scuola, non ha conosciuto accademia, ma ha risposto con entusiasmo esistenziale a un’urgenza espressiva ingenua e poi sempre più coltivata, espansa, motivata. Si mostrano non di rado  quasi deformate, certamente ‘trasformate’ da una qualità giocosa e insieme ricercatamente caricaturale e fortemente simbolica, metaforica, sempre tese a sollecitare un ascolto, una lettura che sta dietro le immagini, più personaggi  del sogno, della visionarietà onirica, che figure concrete; e proprio per questo più ‘essenze’ che apparenze, con una certa enfasi teatrale nelle figure (si veda l’interessantissimo ciclo storico della fine degli anni Sessanta, per la sala Consigliare di Pescara, con la storia della città in otto grandi tele) e decorativa  nel caleidoscopico gioco degli elementi simbolici (circolari, quadrati, rettangolari) che sempre più le accompagnano nel racconto sintetico o agiscono da sole (come sui murales) in distribuzioni e sovrapposizioni con la vivacità cromatica delle  ‘figurine’ che da ragazzi gettavamo in aria per il gioco di ‘testa o croce’. Qui, però, c’è il suo (di Baldacci intendo) alfabeto segreto, una sempre più ricca sequenza segnaletica derivata da emblemi di culture diverse, dal lontano oriente alla nuove indie, dall’area mediterranea all’Europa  celtica, dall’Africa all’Oceania. E’ un codice, una crittografia, che appartiene interamente a Baldacci e di cui solo lui conosce tutto il significato (come la Sibilla o l’Oracolo), ma  non c’è chi non colga subito che si tratta di una segnaletica per umani, che invita, in modo semplice e garbato, cromaticamente accattivante,  a ‘slargare’ i sensi,  gli orizzonti visivi e gli spazi emotivi, a guardare, come dicevo, e a sentire.                                                            
Il lavoro, la ricerca espressiva e narrativa di Luigi Baldacci durano  ormai da oltre mezzo secolo – e questa monografia lo testimonia egregiamente, nel senso di un’attenta, minuziosa ricomposizione del percorso, del fil rouge che comincia con la ‘passione’, inspiegabilmente cresciuta dentro, per necessità,  con urgenza e diletto, del disegno che col segno leggero della matita inventa spazi e profondità, volumi e figure sul foglio bidimensionale, come un tracciato della mente, un itinerario dei sensi: inizialmente stentato, arduo, ripetuto, a volte anche con forza piuttosto che cancellato, anche ‘irritando’ il foglio, tormentando la forma, la figura, perché il segno precedente costituisce comunque un riferimento necessario ad abituare la mano, a renderla agile e corsiva nel tracciare le ‘scenografie’ della propria memoria e della propria immaginazione. Questa è costantemente sollecitata dai sedimenti, dalle stratificazioni, dalle emergenze intime di una personalità dai nervi chiaramente scoperti, ‘scorticati’, indifesi e altamente prensili, e che sente (e a volte rappresenta) l’uomo come concentrazione e fonte di emanazione di energia rispetto a una realtà che tende a smarrire o ha già smarrito, impoverito, le capacità  dei terminali sensitivi, dando troppo spazio alla visualizzazione meccanica  ed elettronica, alla virtualità delle esperienze.
Per Luigi Baldacci dipingere non è, dunque, ritrarre la realtà, ripresentare la natura, ma è soprattutto una lenta esplorazione, coltivazione e rielaborazione di esperienze di vita, di storia, di conoscenza del territorio, dell’ambiente in cui ritrovare le radici profonde dell’emozione esistenziale e culturale, immagini che a volte appartengono  all’infanzia ora all’adolescenza, ora all’adulto ridiventato fanciullo, ma sempre come sentimento del tempo, atmosfera poetica, lirica e di riaffermazione dell’umano come misura delle cose e degli eventi. Che questa impostazione ‘etica’ (che mi rammenta la tenace autoformazione del padovano Tono Zancanaro) del fare  di Luigi Baldacci sia autentica ed efficace è testimoniato, a mio avviso, dal già lungo percorso e anche dall’intensa collaborazione e dedizione della moglie e dei figli, sempre solleciti a dare un personale contributo di sostegno creativo ed operativo.
Giorgio Segato, 2007